L’ottobre dei referendum sull’asse Barcellona – Milano – Venezia
Questo ottobre sarà ricordato come il mese dei referendum. Il primo di ottobre tutta Europa ha seguito con un misto di apprensione e curiosità il referendum per l’indipendenza Catalana. Ma non è finita: tre settimane dopo in Italia si è tenuto il referendum per l’autonomia della Lombardia e del Veneto. Due votazioni diverse che in troppi, sbagliando, hanno accomunato. Facciamo un po’ di ordine. Il referendum per la Catalogna aveva un quesito piuttosto impegnativo: «Vuoi che la Catalogna sia uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica?». Una vera e propria richiesta di indipendenza. Dei 5 milioni e 313.564 aventi diritto, ben 2 milioni e 44.038 hanno detto si, mentre solo 177.547 hanno detto no. Indipendenza subito? Macchè, perchè in questo referendum esisteva un problema di fondo: secondo il governo spagnolo in carica, la Costituzione della Spagna non consentirebbe di votare sull’indipendenza di alcuna regione spagnola e l’intera consultazione sarebbe stata quindi illegale. Questa è la motivazione principale per cui la polizia spagnola ha impedito con la forza che il voto si tenesse regolarmente.
Non a caso, come ne parliamo a pagina 30, nel giorno del voto si sono contati quasi 500 feriti negli scontri tra votanti e polizia spagnola. Era necessario agire così in modo così violento contro normali cittadini che andavano semplicemente a votare? Qui si entra nelle considerazioni personali, anche se mi permetto di far notare che chi andava a votare teneva una scheda in mano, i poliziotti avevano manganelli e pistole cariche di proiettili di gomma. Dopo quasi un mese da questa votazione, la questione è sempre aperta e in veloce evoluzione: proprio mentre sto scrivendo queste righe, il parlamento catalano ha dichiarato l’indipendenza e l’inizio della fase costituente. Di tutta risposta, il governo spagnolo ha votato l’articolo 155 che toglie l’autonomia, commissariando de facto la Catalogna. Come finirà? E’ presto per dirlo, ma la situazione rischia di “esplodere” in senso più o meno letterale. Totalmente diversa la situazione in Italia con il referendum del 22 ottobre nelle regioni Lombardia e Veneto. Qui il quesito era ben più generico: «Vuoi che alla Regione del Veneto e Lombardia siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?».
Niente secessione o indipendenza, dunque, come gli stessi lombardoveneti rivendicavano fino a qualche anno fa, bensì autonomia economica e maggior autonomia decisionale in termini fiscali. Un voto che, per sua stessa natura, non poteva che avere esito positivo: e così è stato. Cosa cambierà? Per ora poco o nulla. I politici di Lombardia e Veneto (capitanati dal duo-leghista Maroni – Zaia) porteranno a Roma i 2.273.985 voti “si” dal Veneto e i 2.875.438 dalla Lombardia come legittimazione delle proprie intenzione di autonomia. Basteranno? Questo è da vedere, considerando che la partita si aprirà dopo le elezioni politiche del prossimo anno. Anche se fuori dall’Europa, il 25 settembre gli abitanti del Kurdistan iracheno sono andati a votare per un referendum sull’indipendenza. Più del novanta per cento dei votanti abbia chiesto al Governo regionale curdo (Krg) di avviare dei negoziati con il governo iracheno per la secessione. Il voto però non includeva la gigantesca comunità curda di Turchia, “immobilizzata” dal governo di Erdogan, da sempre ostile alla questione curda. Quello iracheno è comunque un si.