La libertà di stampa e gli equilibri delicati dei governi

Gabriele del Grande, il giorna­lista lucchese detenuto senza motivi apparenti, si è trovato al centro di una vicenda che solleva serie domande sulla legittimità del governo turco e l’illegalità della sua partecipa­zione all’Unione Europa, unione fon­data su principi democratici.

I documenti di Gabriele erano tutti in regola, visti, bolli, timbri erano tutti perfetti. Ma è una cosa a non convin­cere il governo turco, il suo lavoro, le sue denunce, la raccolta di dati og­gettivi che possano servire alle ge­nerazioni future, alla storia per capire che cosa sia veramente accaduto, per dare voce a chi ha perso una patria, una famiglia, l’identità, e spesso anche la vita.

Gabriele del Grande vive da alcuni an­ni in Grecia, con la moglie e i due figli, ha soli trentaquattro anni ma grazie al suo vissuto giornalistico potremo di­re che ne ha molti di più, almeno una cinquantina. Gabriele durante questi anni ha raccolto dati sulla strage siria­na, da molti anni raccoglieva e catalo­gava le morti avvenute nel Mediterra­neo mentre la maggior parte restava a guardare, incredula e ubriacata di notizie dai telegiornali, senza com­prendere che cosa stesse realmente accadendo.

Gabriele è andato alla ricerca delle sto­rie che fanno la storia, delle storie che nessuno avrebbe raccontato né potu­to raccontare. Grazie a questi dati re­periti dal nostro giornalista sappiamo che dal 1998 sono morte quasi 30.000 persone lungo le frontiere dell’Europa, nel 2015 sono stati ritrovati 4,271 cor­pi, nel 2014 sono 3.507 le persone che non ce l’hanno fatta.

Una vera e propria strage silenziosa.

Morti che aumentano anziché diminu­ire, e mentre Gabriele continua il suo lavoro qualcuno comincia ad esserne infastidito; Gabriele ha rischiato la vi­ta, ci ha tenuti con il fiato sospeso. È stato al centro di una vicenda che non dimenticheremo, ma soprattutto, non dimenticheranno I giovani ragazzi tur­chi che oggi si trovano ad essere vitti­me di un governo patriarcale, vittime di un governo che non vuole vedere la crisi umanitaria che stiamo vivendo per interessi di una portata che per loro è ben più alta delle vite umane. La Turchia dimostra scale di valori di­verse dalle nostre e perciò appare più che lecito aprire un dibattito sulla loro partecipazione alla comunità europea in quanto questo governo non rispet­ta i parametri democratici sui quali si fonda la costituzione europeista. Per noi quello turco è un governo illegit­timo ma pur sempre legale perché de­riva da leggi che il governo turco ha sempre avuto per tutelare gli interessi dei politici al governo, si scopre infatti che è fin dagli albori dell’Impero Ot­tomano che sono state emanate delle leggi di regolamentazione delle tipo­grafie; prima che nascesse la Turchia i libri che potevano circolare all’ inter­no dell’Impero Ottomano dovevano essere mostrati prima della stampa al direttore, il quale li trasferiva alla com­missione per l’istruzione e alla polizia. La legalità del governo è regolata da leggi statali e internazionali della loro Costituzione. Il codice penale ha reso l’ insulto alla turchicità un reato puni­bile, si tratta dell’articolo 301.

Perciò, per quanto possiamo parlar­ne male ci muoviamo in uno sfondo delicato per cui le leggi nazionali e in­ternazionali sono in conflitto tra loro e stabilire torto e ragione è una que­stione di gerarchie ed equilibri fragili ma importanti. Se il nazionale dovesse piegarsi all’ internazionale allora tutti gli stati perderebbero la loro legitti­mità in funzione di un diritto sovrana­zionale e questo potrebbe portare a serie domande di sovranità popolare per tutti gli stati coinvolti nell’Unione Europea, Italia compresa.

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