A Cozzile per “tuffarsi” nelle cristalline acque elbane
Sono sempre stato attratto irresistibilmente dal richiamo del mare e dalla dimensione naturalistica di un territorio, quando cioè l’attività umana si è limitata al minimo intervento su di esso, giusto il necessario per renderlo più facilmente raggiungibile, fruibile, abitabile e niente più. Un po’ ancora selvaggio, puro, incontaminato… vergine. Questo carattere paesaggistico originario coniugato ad un insopprimibile richiamo all’acqua, l’ho ricercato, scoperto e continuamente ritrovato nell‘amata Isola d’Elba, mio “buen retiro”.
È sul finire degli anni ’70 che iniziai con gli amici del cuore, sulle “ali” di una vespa 50 special, l’avventura esplorativa (non ancora appagata) delle miriadi di luccicanti coste: ora dorati golfi di lidi sabbiosi, ora acciottolate baie dai riflessi smeraldo, ora ripide, alte e romantiche, che si aprono su panorami sbalorditivi mutevoli di minuto in minuto (al variare delle angolazioni e nuances tonali della luce) di tornante in tornante, specialmente sulla “Costa del Sole” dell’anello occidentale. Anche i suggestivi paesini “coricati” in riva al mare… più turistici, o inerpicati sulle alture… da amanti, possono rappresentare un efficace contesto coinvolgente, contemplativo, estraniante, rilassante, dove ritrovare un luogo del Se, in un tonificante “bagno” di Creato al cospetto della concretezza del Padre. Ma il mio preferito è il “far West” la costa ovest o meglio “sufficiently far or near… West” (sufficientemente lontano o -se preferite- sufficientemente vicino ovest).
È qui che compiaciuto, ho visto muovere le prime bracciate incerte, necessarie, di Caterina, mia figlia amata, nel tentativo di interpretare la monumentale mole del mare… in una struggente metafora della vita. Ecco… quello che avrò da dirvi vi sembrerà improbabile, ma nella nostra Valdinievole, se in una giornata terza “tramontanina” d’Aprile vi arrampicate da Margine Coperta sulla sinuosa viabilità che condurrebbe a Macchino, il Goraiolo e poi in Panicagliora, appena lasciato Massa Castello alla vostra destra, dopo circa 3 chilometri giungerete a Cozzile, secondo centro storico per importanza dell’omonimo comune. Giunti al Castello lasciate l’auto sul ciglio… al margine della strada… tra ruvidi ulivi e campi ben ordinati.
Proseguite a piedi sull’ultima porzione dell’antico ripido camminamento romanico di accesso al borgo in selciato di ciottoli di pietra arenaria. Ad attendervi l’ingannevole imponente volume dell’ottocentesco Palazzo de Gubernatis che domina l’intera piana. Arrivati alla Porta e varcato l’Arco come errabondi medievali (il cuore alle tempie e il respiro corto ve ne restituirà una efficacissima percezione fisica; vi mancherà solo il galero, la pellegrina, il bordone e la conchiglia per sentirvi veri pellegrini), si aprirà ai vostri occhi un luogo dove il tempo sembra essersi fermato.
La chiesetta intitolata a San Jacopo (quel Giacomo maggiore di Zebedeo, l’apostolo), scrigno di accennati, stupefacenti affreschi medievali da poco ritrovati e restaurati, l’impianto urbanistico a dimensione d’uomo e gli accoglienti colori ocra pastello che rendono tutto familiare, l’alta torre campanaria del XIII secolo, vi ricorda di un piccolo borgo antico meta di pellegrini che seguivano un asse, per così dire,… secondario… collinare (ne sono testimonianze il Santuario di Croci, il sentiero che conduce al Ponte di Barano o quello che rimane della inespugnabile fortezza di Verruca) e che si ricongiungevano alla Francigena nei pressi di Veneri tra Pescia e Montecarlo. Ma è tornando sui vostri passi uscendo dalle mura che una piacevole sorpresa vi sbalordirà. Sul basso parapetto in pillole di pietra e conci di laterizio sapientemente soppesati e disposti (materiale di risulta dalla bonifica degli antichi scoscesi terreni incolti trasformati a “terrazze”), è posta una lapide in marmo bianco carrarino di buona fattura (oggi parzialmente integrata) che vi aiuterà ad orientarvi tra le rilevanze paesaggistiche più struggenti e significative che si palesano sotto i vostri occhi in quel “popò” di panorama che sembra lo sfondo di una delle più belle tele rinascimentali.
Ecco che se guardate bene all’orizzonte, seguendo la direzione suggerita dal graffito, non vi sarà difficile cogliere il profilo del monte Capanne, che con i suoi 1019 metri s.l.m. svetta schietto come un faraglione a segnalare l’isola d’Elba in un luccichio di acque mai dome. È una sensazione che le parole faticano ad esprimere. In un sol colpo d’occhio, dai 411 metri s.l.m. di Cozzile, si riesce a racchiudere, in una visione unitaria ed armonica, ben nove province toscane, perfettamente coronate a sud/ovest, verso il mio “far west”, dall’ineguagliabile fascino dell’arcipelago toscano. (la foto panoramica e della torre sono di Massimo Pazzagli da Colle Val d’Elsa qui incontrato, per uno strano destino, in comune estasi in gennaio ‘17). Nel 2006, all’indomani di una buona serie di lavori per committenze illuminate, grate ma soprattutto… riconoscenti e generose, ho potuto coronare il sogno di una vita, riuscendo (non senza fatica!?!) a realizzare tre stanze proprio su quella costa ovest cui sento ancora oggi il richiamo.
Quella “casetta caterina” che nel 2014 ha ispirato i versi del ben riuscito omonimo Sonetto dell’amico M° Bruno professor Niccolai. Da là… su una terrazza a 123 metri s.l.m. che si apre a 270° sull’orizzonte marino che guarda la costa francese della Corsa Bastia, non riuscendo a cogliere la visuale opposta sulla nostra Valdinievole, ho voluto allora rilanciare uno sguardo ancora più a ponente. Ho disegnato dunque, con un gesto architettonico bianco, semplice, stilizzato, sull’intonaco grezzo di solo arriccio color “acqua dell’Elba” (quando il cielo di primavera “ammicca” al primo verde) un’orbita oculare. Un occhio vigile sul mare sottostante, santuario dei cetacei, che… tra uno sbruffo di balenotteri, uno scalpitio di mufloni, un saltellare di delfini o il grugnire di cinghiali… accompagni il sole, in una tavolozza di colori infinita e mutevole (fuggevolmente afferrabile) tra il macchiaiolo fiorentino e l’impressionista parigino, ad ogni suo meritato, giornaliero, tracciato, riposo, in un’ipotesi improbabile ed appagante di dilatazione del tempo e dello spazio.
Architetto Simone Scardigli