Villa di Bellavista esempio “SOBRIO” di Barocco e Rococò
Non potrà essere pienamente obiettivo, privo di faziosità o pudore, il racconto di quest’oggi: straordinario esempio di Architettura toscana Barocca coinvolgente e scenografica ma anche, insospettabilmente sobria ed armonica al limite del severo.
Due assi di scala urbanistica ed architettonica ne delineano l’ubicazione e la esemplare simmetria: via Livornese (che unisce da nord a sud Buggiano con Chiesina) e il viale d’accesso alberato arricchito di opere plastiche, perfettamente perpendicolare al primo, in leggera enfatizzante ascesa, che si prolunga in direzione est fino ad intersecare via Ponte Buggianese ed in direzione ovest fino a congiungersi con via XXIV maggio già del Busoni.
Segni leggeri ed al contempo così autorevoli e puri, connotativi. Se ci penso bene dal 2 febbraio ’64 ad oggi, quasi non ho ricordi che non siano incorniciati dalla sagoma della Villa del Marchese Francesco Feroni che lì si erge elegante e solenne dal lontano 1696.
Erano quelli anni in cui le famiglie più in vista dell’alta aristocrazia dominante, gareggiavano nel realizzare palazzi in città e sontuose ville in campagna (sulla scia dell’ineguagliabile Reggia di Versailles di Luigi XIV “Re Sole” su progetto di Mansart e Le Notre o della nostrana Reggia di Caserta di Carlo Borbone su progetto del magistrale Luigi Vanvitelli) per affermare il loro status sociale affidando la progettazione appunto agli Architetti più in voga del tempo.
Qui in Buggiano, il progetto architettonico del conteso Antonio Maria Ferri, raggiunge livelli stilistici di compiutezza, equilibrio e sobrietà veramente pregevoli, degni degli episodi più alti dell’Arte toscana e della scuola classica dell’Ammannati da cui proveniva. Con fatica cerco di distinguere il racconto della bella Architettura da quello personale ad essa legato.
Non riesco a trattenere il fiume di ricordi…degli anni’60-70 le interminabili partite di calcio mono tempo nel campetto sotto la Cappella gentilizia (a pianta centrale, porticata, sormontata dall’elegante cupola), del “glorioso santamaria”, sospese solo per carenza o addirittura totale assenza di luce diurna, o le improvvisate quanto improbabili sedi di neo-gruppi come il G.E.V.I. (Giovani Esploratori Volenterosi Interessati) nei dedali degli scantinati perimetrali.
Più struggente, il ricordo di tanto avvincenti quanto dubbie, battute di caccia al fagiano o alla volpe, nel parco e boschetto adiacenti la villa. Il tutto naturalmente con il mio fedele Bambi, raffinato ed affettuoso setter irlandese da riporto color mogano, di soli pochi centimetri più basso di me, spesso sotto pioggia battente.
L’equipaggiamento consisteva nell’inseparabile elmetto tedesco in plastica e la rassicurante carabina ad aria compressa con tappi di sughero entrambi acquistati, s’intende, all’ultima fiera in selva dall’Elissa (infinitamente indulgente mamma) per i rari meriti disciplinari. Meta, più tardi negli anni ’80, segreta, confidente e discreta di quegli “attimi di infinito” rubati al tempo… tra impacciate dichiarazioni d’amore eterno e palpitanti, acerbe…esplorazioni antropomorfe. Da universitario poi, con i cari amici Corrado Agostini, Claudio Gariboldi e Gianni Cerchiai, ci avventurammo nel suo impegnativo Disegno e Rilievo sotto la guida del Professor Gurrieri. Credo ancora oggi la più recente restituzione grafica del complesso.
Nel ‘93 è stata la suggestiva ambientazione del servizio fotografico matrimoniale quando anche la bomboniera ne riproduceva, nella stampa che qui vi ripropongo, una mia china acquerellata… ed ancor oggi sorveglia, dalla sua sommità, gli esiti incerti… sempre appaganti… della mia avventura terrena. Fin dai primi ingressi furtivi sono stato totalmente catturato dal suo decoro interno, affidato al Pier Dandini, più conteso artista fra le famiglie medicee maggiormente in vista del tempo, per gli affreschi in stile barocco e Niccolò Nannetti, allievo del Gherardini, per le due sale dopo le alcove in gusto più rococò (autore anche della bella Madonna in Gloria esposta nella vicina chiesa del Convento dei frati Agostiniani).
Per le decorazioni plastiche invece l’artista di maggior spicco che opera a Bellavista è Giovan Battista Ciceri, legato allo stile scultoreo barocco romano. Alle sue mani e alla sua bottega si devono anche gli stucchi della raffinata Cappella, delle due tele (trafugate!) del salone a doppio volume centrale oltre che gli stucchi bianchi e dorati delle due alcove, (che però non erano previste nel progetto originario del Ferri). Deliziosi i due bassorilievi raffiguranti “Venere e Adone” e “Selene e Endimione”, che decorano una delle due alcove mentre per l’altra realizza due statue raffiguranti Paride e Giunone.
Prima di congedarmi voglio ricordare che anche la Fiera in Selva, prossima festività in calendario, la più antica festa popolare della Valdinievole (le prime notizie risalgono al 1367 quando Coluccio Salutati ne fu eletto “Ordinatore”), ne ha integrato e coinvolto, saltuariamente, le aree esterne ed interne, favorendone così una percezione non solo come opera monumentale da contemplare esteriormente da spettatori, ma anche e soprattutto, come architettura simbolo, autorevole e fiera da “vivere come propria” da protagonisti, un’altra Alta rappresentante del nostro affascinane ed impareggiabile territorio. Se vuoi segnalare Bellezze dimenticate, nascoste, restaurate o violate contattami.