Il punto sull’olivocultura in Toscana con Pietro Barachini
Pietro, come procede la stagione? C’è rischio che proliferi la mosca? «L’annata 2016-2017 per quanto riguarda le olive e di conseguenza la qualità dell’olio sembra non essere partita nel migliore dei modi. L’estate è arrivata in ritardo e poi sono mancate le precipitazioni. La mosca delle olive ha potuto proliferare liberamente nel centro Italia. Per fortuna gli olivicoltori hanno sviluppato un attenta analisi di monitoraggio e cominciato i trattamenti sia in maniera biologica che tradizionale. Ricordiamo che effettuando trattamenti con metodi tradizionali con dimetoato, imidacloprid o fosmet e se vengono mantenuti i tempi di decadenza lontani dalla frangitura, non vi è alcun problema per la salute umana. Sono tutti prodotti idrosolubili e quindi non vanno a finire nell’olio. Ccredo che sia un’annata nella norma con una buona produzione e spero un alta qualità dell’olio.
Cosa possono fare i coltivatori locali per non svendere il loro olio? «Premesso che un produttore per entrare nel mercato dell’olio extravergine di qualità abbia prodotto un olio privo di difetti, deve cercare di dare valore economico al prodotto. Si parte da un analisi qualitativa del proprio olio attraverso verifiche sensoriali e chimiche da parte di assaggiatori professionisti. Poi si cerca di creare un “brand” un nome di un etichetta. Quindi c’è da fare uno studio su quali strumenti utilizzare per cercare di non “svendere “ il nostro olio, continuare a vendere l’olio extravergine di qualità a 10-12 euro al litro non è buona cosa. Io consiglio di puntare sull’e-commerce ed internet».
La classica varietà toscana dell’olivo è a rischio a causa di cultivar esterni? Negli ultimi anni, vi è la tendenza da parte di alcuni ricercatori e aziende del settore vivaistico olivicolo, di applicare tecnologie utilizzate per la frutticoltura intensiva alla filiera dell’olivo. Negli anni 90 in Spagna vi è stato un boom enorme di sviluppo di questa tecnologia: si tratta di “creare” in laboratorio delle culitvar che diano il massimo a livello agronomico e resistenza alle malattie e che siano nanizzanti. Si piantano olivi come fossero viti a distanze ridotte e si usano costantemente acqua, concimi, diserbanti, ed antiparassitari. In 1 ettaro riescono a mettere anche 1200 piante! L’unico problema che questo sistema “superintensivo” negli anni ha dimostrato delle criticità molto forti. In Italia purtroppo gli ultimi 20 anni vi è stata una forte crisi nel settore produttivo oleario, sopratutto in quelle zone come la Puglia. Come professionista del settore cerco di far capire alle persone di non puntare sulle coltivazioni intensive. Ho visto aziende investire tanti soldi inutilmente per poi tornare da me e ricominciare da capo un percorso di qualità.
Da che parte può iniziare l’innovazione nell’olivicoltura in Toscana? L’innovazione non va fatta in campo: è molto pericoloso giocare con la genetica. Si può migliorare la raccolta , a non stravolgere la biodiversità e la qualità. C’è ancora tanta strada da fare nella trasformazione nella rintracciabilità di filiera, nella digitalizzazione, nella sicurezza alimentare. Qui si deve fare innovazione, in Italia vi sono circa 1200 cultivar di olivo, e vanno salvate, tutelate e rese uniche per “l’olio extravergine di oliva di qualità”. E’ inutile investire in tecnologie distruttive per fare un olio che fanno in tutto il mondo. L’innovazione deve partire dalle tecniche di frangitura, di filtraggio, di conservazione. Bisogna arrivare a tracciare la bottiglia attraverso uno smartphone in modo da essere sicuri che arrivi proprio da quel lotto di piante».